Addio a Franco Loi

Doveroso omaggio a un poeta tra i più grandi dei nostri tempi, bellissima persona. ()
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Nel 1996, per conto della Provincia di Milano, realizzammo con la regia di Egidio Bertazzoni il documentario “Franco Loi. Una città in versi” dedicato al grande poeta che alle soglie del suo novantunesimo compleanno ci ha recentemente lasciato. Le prime immagini del video ritraggono Loi intendo a leggere una sua poesia sul sagrato di Santa Maria Bianca al Casoretto quartiere nel quale il poeta venne ad abitare nel 1939, dopo essere nato a Genova nel 1930 da padre di origini sarde e madre emiliana.
La macchina da presa lo segue poi in un itinerario della memoria tra via Wildt e via Accademia, via Mario Bianco e via padre Martini dove, racconta Loi stesso, da ragazzino era solito giocare a pallone con i suoi amici d’infanzia, sino alla sua abitazione in via Teodosio (“E via Teodosio ne la nott stresìga, e i mè regòrd, i frèm penser, i segn…”), poco distante dalle officine dell’ATM.
In queste vie di quartiere, allora periferico, impara la lingua milanese in quella palestra di vita che, allora come oggi non più, era la strada.
In quegli anni di gioventù apprende e affina una lingua che diviene ben presto molto personale, una sorta di milanese che “non esiste”, come afferma nel documentario Giovanni Raboni, una lingua di cui Loi si appropria per modificarla secondo i suoi canoni di creatività e di musicalità.
Dice Ernesto Ferrero che la lingua di Loi è una sorta di jazz metropolitano, una dodecafonia colta e, al contempo, popolare.
I primi anni dell’adolescenza sono anche quelli dell’antifascismo dichiarato. Della fine della guerra, gli piaceva ricordare la grande gioia dei giorni della Liberazione, l’immensa esplosione di energia, la voglia delle persone di cantare e di ballare. La personale battaglia per cambiare il mondo, la militanza politica, l’impegno sociale.
Nella raccolta antologica “Poeti italiani del Novecento” il curatore Pier Vincenzo Mengaldo scrive:” Per comprendere Loi, che a me pare la personalità poetica più potente degli ultimi anni, occorre intanto rendersi conto della qualità peculiare del suo milanese, assai lontano da quello della tradizione letteraria della città…Questo linguaggio già così mescidato ed eccentrico è sottoposto da Loi a una ricca e liberisssima ricreazione personale, così come l’esperienza che in esso s’incarna oscilla fra l’immediatezza bruciante del vissuto e quella che il poeta chiama ‘l’invisìbel müseca del feng’ “.
Riconosciuto dalla critica letteraria tra i poeti maggiori dei nostri anni, ci piace qui ricordare la sua grande umanità e disponibilità, la sua curiosità per le cose del mondo esteriore e interiore, in una continua ricerca di se stesso e dell’altro, anche attraverso il sentimento profondo della pietà.
Nella sua lunga vita Franco Loi ha stretto un rapporto stretto con la sua città che sosteneva avesse una bellezza nascosta nei suoi giardini, nei cortili, nelle acque ricoperte dei Navigli sino a sostenere, oltre venti anni fa, che Milano avrebbe conosciuto una rinascita morale e civile.
Resta in tutti coloro che hanno avuto modo di conoscerlo e di frequentarlo un grande senso di riconoscenza e di gratitudine per la straordinaria potenza della sua poesia, per la vitale disponibilità della sua grande umanità.
Dal volumetto “La poesia a Milano non è una mongolfiera”, curato da Giovanni Bonoldi per conto del nostro giornale, ci piace in chiusura riportare i versi finali della poesia “Me piasarìss de mì desmentegâss” (Mi piacerebbe di me dimenticarmi): “… e mai truâss, e pü capì de mì,/ ma vèss giuius de l’aria che mi tira/due che la vita la se pensa vîv” (e mai ritrovarsi, e non più capire di me stesso,/ma essere gioioso dell’aria che mi attira/ là dove la vita si pensa vivere”). Da “Lünn”, 1982.

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