Cittadini e partecipazione

Confusione di ruoli e di responsabilità, tra "buona" e “cattiva” politica. ()
palazzomarino
Riprendo lo spunto lanciato sulle nostre pagine da Fabrizio Bottini, perché le questioni di cui si tratta mi sembrano oggi di assoluta importanza e coinvolgono il rapporto tra l’amministratore pubblico e il cittadino, tra gli eletti che hanno ricevuto un mandato di rappresentanza con il vincolo morale ed etico di rappresentare i legittimi interessi di coloro che li hanno votati. Si tratta di ricercare le condizioni entro cui agire in una società che cerca di realizzare democraticamente il governo della cosa pubblica. Si tratta in definitiva di fare una “buona” o “cattiva” politica anche quando si stabiliscono metodi e forme di partecipazione dei cittadini.

“Ofelé fa el tò mesté” dice un proverbio milanese, giustissimo, ma alquanto disatteso, e non mi riferisco alla eventuale incapacità professionale o alla presuntuosa ignoranza di chi non è in grado di compiere a dovere il proprio mestiere, ma alla sostanziale negazione del proprio ruolo, non per incompetenza o inadeguatezza, ma per la precisa volontà di gestire la cosa pubblica senza dare riscontro delle proprie scelte. Chi ha ricevuto un mandato di rappresentanza in questo modo viene meno all’impegno assunto e alle proprie responsabilità. I comitati e le associazioni cittadine che si oppongono così numerosi e con tanta frequenza alle decisioni dell’amministrazione ne sono la prova evidente.

Quando ciò succede ci si trova di fronte allo svuotamento dall’interno della vita democratica, alla negazione della partecipazione popolare, alla riduzione dei cittadini dallo status di soggetti che vogliono partecipare alla polis, allo status di spettatori che stanno in platea ed assistono allo spettacolo mandato in scena da altri.
Perciò vanno in onda “talk show”, dove volano insulti e “fake news”, perché occorre conquistare l’elettore con costose e mirate campagne di propaganda mediatica applicando le stesse tecniche di marketing con cui si vendono i beni di consumo, dai formaggini ai cioccolatini.

Nulla di nuovo, un copione di sempre declinato secondo gli usi e costumi del tempo e del luogo; oggi questa negazione sostanziale della partecipazione dei cittadini interessati alle sorti della comunità deve pur essere dissimulata in qualche modo e per porre rimedio al deficit di trasparenza e informazione spesso si propongono i processi partecipativi. Bilancio partecipativo, dibattito pubblico, consultazione popolare possono ben servire allo scopo.
Non si vuole qui negare la validità e l’utilità di queste forme di partecipazione, ben vengano se servono a raggiungere l’obiettivo, ma rilevare il fatto che sono utilizzati spesso per raccogliere un benevolo consenso su temi di poco conto deviando l’attenzione sulle questioni più rilevanti che riguardano le iniziative sul territorio.

Quando invece si tratta di temi quali l’ambiente, non si comprende con quale criterio vengano invitati i cittadini milanesi a partecipare al Piano Aria Clima, un piano di largo respiro, complesso ed articolato, da realizzare a lungo termine, che non può rientrare certo nelle competenze del semplice cittadino. Una precisa responsabilità politica che spetta all’istituzione quella di predisporre tale Piano, discuterlo pubblicamente nelle sedi opportune, in un aperto dibattito politico, per impegnare poi l’amministrazione ad attuarlo, rispettando tempi e modalità di intervento. La partecipazione dei cittadini dovrà avvenire semmai nel confronto con l’amministrazione sulle scelte concrete che verranno attuate per conseguire gli obiettivi, predisponendo gli strumenti per consentire una reale partecipazione. Elaborare un Piano è tutto sommato semplice, assai meno realizzarlo con l’impegno di renderne parte attiva la cittadinanza.

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