Scuola, il sasso è lanciato. Il disturbo antisociale di personalità

Continuiamo con questo secondo articolo le nostre 'provocazioni' sui temi più spinosi del mondo della scuola. Come in precedenza, invitiamo tutti i lettori a scrivere nei commenti le loro opinioni, a confrontarsi anche su questo delicatissimo argomento che va perfino oltre il bullismo. In presenza di questo tipo di disturbo a nulla valgono i mezzi educativi e coercitivi a disposizione degli insegnanti. E i dati dicono che è molto più diffuso di quanto si pensi. ()
Ventimila leghe sotto i mari 1
“Le comunità umane possono essere luoghi di benessere, di prosperità, di salute, di ordine, di pace ma anche di male che si esprime sotto forma di malattie, violenze, ingiustizie. Se, come uomini, per difendere noi stessi e i nostri simili dalla brutalità del male ne neghiamo la realtà perché ci appare intollerabile guardarlo, prepariamo il terreno alla sua diffusione veramente intollerabile, perché epidemica, non riconosciuta e quindi non contrastata efficacemente”.

Ho scelto queste parole tratte dal nuovo libro di Giorgio Cavallari, analista del Centro italiano di Psicologia analitica, per introdurre al tema di questo articolo che è a mio avviso considerato troppo poco quando si parla di riforma della scuola.
L’immagine di "Ventimila leghe sotto i mari" vuole ricordare che il problema è sommerso, da molti considerato una fantasia, ma di una potenza che può evocare l’oceano.

È ormai assodato che, oltre la scuola, anche l’istituzione familiare è in crisi e che sono in aumento gli studenti con problemi relazionali e di concentrazione. C’è però un tipo di disturbo davanti al quale non solo la scuola non è preparata ma non si sta nemmeno ponendo il problema. Sono in aumento i casi di disturbo della condotta, quello che spesso si trasforma in età adulta in quello che viene chiamato 'disturbo antisociale di personalità' caratterizzato dal disprezzo patologico del soggetto per le regole e le leggi della società e del mondo circostante, da comportamento impulsivo, dall'incapacità di assumersi responsabilità e dall'indifferenza nei confronti dei sentimenti altrui. Il dato psicodinamico fondamentale è la mancanza del senso di colpa o del rimorso. I compagni più fragili sono spesso presi di mira e tutto può svolgersi in modo sommerso.

In presenza di questo tipo di disturbo a nulla valgono i mezzi educativi e coercitivi a disposizione degli insegnanti. Spesso la famiglia è in difficoltà a riconoscere un disturbo così grave e non collabora.
A volte, i casi di bullismo possono essere efficacemente contrastati da un corpo insegnante attento e coeso. In questi casi invece non basta. Affermo per esperienza che, con tutte le cautele che un’affermazione del genere comporta, ci sono purtroppo ragazzi già strutturati con questa patologia di età inferiore ai 14 anni.
A ciò si aggiunge la capacità di questi studenti di manipolare compagni e insegnanti e approfittare delle debolezze e delle divergenze di vedute all’interno del corpo docente.

Un esempio su tutti: spesso le antenne di questi studenti individuano la/il prof che ha più potere nel consiglio di classe e non creano molti problemi nelle sue ore in modo che lei/lui non veda il problema e accusi velatamente i colleghi di non saper tenere lo studente al suo posto. Tale situazione assorbe così tante energie psichiche e di tempo all’interno del consiglio di classe che poche ne rimangono per la didattica. Si cerca per mesi di arrivare a una soluzione senza venirne a capo tramite numerosi colloqui con i genitori e discussioni estenuanti tra colleghi. Segue la resa; ci si arrende alla situazione. Professori, studenti e genitori si dicono allora che è andata male, bisogna stringere i denti, sopportare e sperare di capitare meglio il prossimo ciclo.
Possono passare ben 5 anni nei quali i bambini o gli adolescenti si abituano a vedere trionfare il male e retrocedere la possibilità di instaurare un ambiente sereno. Il clima quotidiano è caratterizzato dalla paura e dalla menzogna. La possibilità di imparare, che richiede all’opposto un ambiente collaborativo, sereno e con mancanza di giudizio, scompare.

I dati statistici sono allarmanti. Se si considera questo disturbo presente in uno studente su cento (stima per difetto) si calcola facilmente che, ogni quattro classi da 25 ragazzi, in una non si riesce a lavorare.
Non ci sono dati OCSE-Pisa che correlano la caduta di rendimento con questo tipo di problema. E nessuno ne parla.

Penso che questo silenzio sia anche dovuto a un’idea troppo astratta di inclusività: sacrosanto principio la ricerca dell’inclusione. Ma non si possono escludere dall’apprendimento 24 ragazzi per (non) salvarne uno.
Non propongo soluzioni da bacchetta magica ma l’inizio della soluzione è riconoscere il problema, la sua gravità, la necessità di intervenire e, nei casi gravi, la possibilità di essere seguiti da professionisti che siano messi nelle condizioni di svolgere un lavoro fatto bene in sinergia con gli insegnanti. Senza fare la caccia alle streghe ma riconoscendo che esiste anche questo disturbo, che non è semplice bullismo, e va trattato come gli altri nell’interesse sia di chi ne è portatore, sia di tutti gli altri.
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